Come vengono raccontate le persone trans che fanno sport, nei media?
È una domanda alla quale non è facile rispondere, anche se vogliamo guardare solo all’Italia perché le persone trans fanno saltare per aria tanti assunti che generalmente vengono dati per scontati nel mondo dello sport.
Parlerò di persone trans e non di non-binary.
Ieri ho avuto la fortuna di rispondere ad un’intervista per la ricerca di Gabriel Knott-Fayle sullo sport e le persone trans nei media che conduce presso l’università di Loughborough. Abbiamo fatto una chiacchierata e mi ha confermato che nemmeno lui è a conoscenza di alcun atleta non-binary famos*. Se voi l* conoscete, commentate: a me farebbe piacere sapere chi è/sono e vedere come se ne parla nei media.
Tempo fa avevo ricevuto una mail di una persona non binaria, che scriveva di essere un’atleta che per fare sport deve fingere di essere donna. Per cui non è detto che atlet* non binary non esistano, ma può darsi che non essendo ancora immaginabili, non sia facile per loro dirsi non-binary per il timore di pregiudizi che possono comprometterne la carriera sportiva.
Partiamo da una premessa generale: lo sport ha mille accezioni. C’è lo sport individuale e di squadra, si va dallo sport che viene fatto in maniera informale al campetto, per strada, sulla spiaggia, in montagna, insomma pressoché ovunque, alle discipline olimpiche e allo sport praticato come professione.
Il campo di applicazione dello sport è quindi vasto. Chi arriva al professionismo spesso parte dalla passione di praticare quello sport ovunque sia possibile all’interno della sua comunità e la geografia degli sport possibili in una determinata area ci dice tanto sulle condizioni strutturali di quell’area.
È facile notare che bastino delle semplici infrastrutture, come un canestro o dei tavoli da ping-pong e dei campetti a farli diventare un motivo di aggregazione giovanile e non, pubblica.
Lo sport ha inoltre mille funzioni reali o percepite a seconda di come lo si inquadra.
Può aiutare a sviluppare e mantenere una igiene fisica e mentale oppure può diventare una dipendenza e danneggiare la salute, può promuovere l’etica e il fair play e/o la competizione, può avere lo scopo di superare i propri limiti individuali e/o può promuovere lo spirito di squadra, può unire una comunità e/o dividere due fazioni e via dicendo.
Chiaramente in gioco ci sono diverse concezioni di sport a seconda del livello in cui ci troviamo, dello sport di cui parliamo, di quanti soldi e sponsorizzazioni girano in quello sport e se si tratta di sport femminile o maschile e di corpi abili o disabili. Perché purtroppo lo sport è ancora diviso nettamente in binari molto rigidi e lo sport femminile e non-abile viene svalutato.
Le categorie dello sport, insomma, ricalcano in parte la struttura della società attraverso la segregazione in categorie e lo stipendio (è di ieri la notizia che un tribunale ha contestato alla nazionale femminile di calcio americana la stessa paga di quella maschile, nonostante che là sia uno sport seguitissimo).
Nello sport, specie nei regolamenti delle varie federazioni o olimpici, si discute spesso di fairness che si può tradurre con vari vocaboli:
- imparzialità
- equità
- correttezza
- onestà
Filosoficamente parlando la prima domanda è: cosa si intende per imparziale/equo?
La filosofia politica si occupa da tempo di questi temi proponendo varie soluzioni.
- Equità dell’esito
- Equità di opportunità
- Meritocrazia
- Rowls ha teorizzato quale sarebbe l’equità che ciascuno sceglierebbe dietro un “velo di ignoranza” ovvero prima della nascita non sapendo in che corpo si capita. Secondo lui sarebbe una equità che beneficia il più svantaggiat* in condizioni di equità di opportunità.
- Sen infine propone l’equità in base alle capacità e abilità individuali.
Dove si inseriscono le persone trans nei discorsi intorno alla fairness? Dipende se sono donne o uomini trans ma soprattutto se vincono.
Prima di tutto dipende anche dove vivono. È recente la legge dell’Idaho che per escludere le studentesse trans e intersex dal diritto allo sport con le compagne le costringerà ad esami invasive (e a proposito, firmate la petizione di ACLU). Poi da quale sport praticano. Infine dipende se vincono o meno.
Come ogni minoranza, finché non vinci, la maggioranza non si porrà problemi sulla tua esistenza né si chiederà se tu non abbia o meno un vantaggio.
Nel momento in cui vinci, diventi visibile e si pone un problema di immaginario. Come ho già spiegato altrove, le persone trans a causa delle narrative pietistiche che ci vogliono solo sofferent* ci rendono inimmaginabil* in posizioni di potere o in storie di successo. Le narrative di panico morale che ci interpretano come un pericolo per la società, contribuiscono a nutrire il sospetto verso la nostra autenticità.
Siamo già una minoranza, lo sport ci è già parzialmente inaccessibile a causa del disagio che alcun* provano nei confronti dei propri corpi. La nostra presenza all’interno dello sport è già un miracolo soprattutto tra i professionisti. Se riuscite a dirmi il nome di un paio di atlet* transgender siete già da medaglia.
Ma poiché le nostre vittorie non sono previste dall’immaginario cisgender, se vinciamo diventiamo oggetto di scrutinio serrato.
Lo sport individuale per vincere richiede allenamenti costanti, sacrifici, carattere, resilienza. Quello di squadra richiede di allenamenti costanti, sacrifici, carattere, spirito di squadra, resilienza.
Ma quando vincono le persone trans, la vincita viene spiegata sempre e solo con i nostri corpi e gli ormoni, in particolare con il testosterone.
Ci sono due tipi di assunti:
- Il primo deriva dall’idea sessista che la forza fisica degli uomini sia maggiore di quella delle donne a causa del testosterone. Secondo questa teoria, la prevalenza del testosterone costituirebbe un vantaggio per gli uomini transgender sotto terapia ormonale sostitutiva.
- Il secondo è che aver avuto il testosterone come ormone prevalente dopo la pubertà, conferisca un vantaggio alle donne transgender perché il testosterone aumenterebbe il numero dei mionuclei nei muscoli (più avanti spiego cosa sono e come) .
Queste due visioni del testosterone come amplificatore delle prestazioni sportive portano a due tipi di timori transfobici diversi:
1. Gli uomini trans siccome generalmente competono con gli uomini cis non attraggono molte critiche. Fanno eccezione gli stati in cui gli uomini trans sono costretti a gareggiare con le donne, come è accaduto a Mack Beggs in Texas. In quel caso i media si sono immediatamente preoccupati che il testosterone conferisse qualche vantaggio al wrestler.
Esempi di atleti famosi che non attraggono grosse proteste sono Patricio Manuel che è boxer professionista (e ha vinto degli incontri indisturbato) e Chris Mosier, un triatleta che ha partecipato di recente ai trials olimpici e ha contribuito a cambiare le regole.
Chiariamo che non attrarre grosse proteste non vuol dire non essere oggetto di discriminazione: Manuel è stato espulso dalla palestra dove si allenava in quanto trans e Mosier ha dovuto portare avanti una battaglia contro il Comitato Olimpico per partecipare ai trials.
2. Le donne trans invece ricevono una quantità di proteste infinita, sui media, dalle colleghe, nell’accesso allo sport. C’è una fissazione del pubblico cisgender nel pensare che abbiano un vantaggio sproporzionato anche se prendono estrogeni e questo senza nemmeno fare distinzione tra tipi di sport, per esempio tra quelli in cui la forza muscolare è importante, come il sollevamento pesi, e quelli che invece richiedono precisione come il tennis. Chi obietta alla loro partecipazione nello sport semplicemente vuole discriminarle tutte da tutti gli sport.
Tra le atlete più dicusse ci sono Laurel Hubbard e Rachel MacKinnon che ora ha cambiato nome in Veronica Ivy.
Hubbard è una sollevatrice di pesi neozelandese e MacKinnon è una ciclista su pista canadese. Hanno vinto entrambe titoli importanti ma non vincono sempre e non hanno il primato delle vincite nelle loro specialità mentre il sospetto che il testosterone le avvantaggi domina continuamente il discorso mediatico quando vincono.
Per i delatori, sembra quasi che l’equità sia solo equità dell’esito dove a vincere devono essere esclusivamente persone cisgender.
La paura che il testosterone dopo la pubertà fornisca un vantaggio, deriva da una ricerca antidoping del 2013, condotta su topi femmine, che teorizza che il livello di testosterone nel corpo, aumentando il numero dei mionuclei, fornisca una sorta di memoria ai muscoli che permetterebbe di aumentare la massa muscolare più velocemente e che avrebbe effetti benefici a lungo termine.
Come ammette anche la ricerca, in precedenza si pensava che fosse l’esercizio fisico a dare una sorta di “memoria” ai muscoli. Come è venuto il dubbio che possa essere un ormone a fornire il vantaggio, quindi? Forse il suprematismo maschile cercava una conferma alla propria superiorità?
Le prime due problematiche che saltano agli occhi dell’applicazione di questo studio alle donne trans sono:
– Le atlete transgender sono AMAB ovvero è stato assegnato loro il sesso maschio alla nascita.
– Lo studio è stato condotto su topi e non su umani
Ma andiamo a vedere come è stato condotto l’esperimento.
Innanzi tutto i muscoli che erano sotto osservazione, trattandosi di topi, erano solamente:
– Il muscolo estensore lungo le dita (EDL)
– Il muscolo del polpaccio (soleus)
Non parliamo in alcun modo di tutti i muscoli perché si tratta di topi. Non è quindi applicabile per chi solleva pesi che di muscoli usa anche quelli degli avambracci.
Hanno preso dei topi femmina, hanno iniettato per 2 settimane al gruppo che chiamerò A testosterone e placebo al gruppo che chiamerò B di controllo. Hanno riscontrato il 66% di aumento dei mionuclei nel gruppo A.
Dopo tre settimane dalla sospensione del testosterone la massa muscolare è scesa ma il numero dei mionuclei è rimasto il 42% superiore del gruppo di controllo. Meno di una settimana dopo la sospensione, i valori del testosterone erano tornati a livelli base.
Successivamente hanno sottoposto i gruppi ad esercizio fisico. Nel gruppo A c’è stata una crescita di cellule del 44% nel gruppo B del 17%.
Dopo 3 mesi (circa il 12% della vita di un topo) i mionuclei erano ancora del 28% superiori. Come mai però si calcola la percentuale della vita del topo solo alla fine ma non all’inizio nel periodo in cui vengono dati gli ormoni?
Se guardate i grafici è evidente che questo studio dimostra solo che nel soleus dei topi femmine il testosterone conferisce ai muscoli un numero di mionuclei consistentemente maggior a riposo. Sotto sforzo il presunto vantaggio si riduce ed è minimo. Inoltre non dimostra che questo esiguo vantaggio muscolare influisca in una gara tra topi (per ovvi problemi a far competere i topi tra loro).
Ora passare dai topi agli umani è già un salto logico e di specie non indifferente ma se anche fosse traslabile agli umani, dimostrerebbe che il doping femminile è dannoso per l’equità (e lo si sapeva già) e che le donne cisgender possono beneficiare dall’uso occasionale di testosterone anche a livello non sportivo anche per la senescenza quando i mionuclei tendono a diminuire.
Ma la maggioranza di chi vuole escludere le donne trans dallo sport non coglie o non le vuole cogliere perché parla per sentito dire e non va a leggersi gli studi.
Ci sono state ricerche successive che hanno sperimentato su umani e sebbene i numeri dei campioni siano minimi, non c’è unanimità scientifica nell’attribuire la memoria muscolare ai mionuclei piuttosto che all’allenamento e all’ipertrofia.
Ma il pregiudizio rimane immutato a prescindere dalle fallacie logiche e dalle contraddizioni che presenta.
Perché non ci sono solo gli atleti famosi, tanti di noi abitano le realtà locali, ci sono tanti giovan* transgender che fanno fatica ad inserirsi negli sport e le narrative transfobiche, specie se a portarle avanti sono persone famose, ci rendono ancora più passibili di bullismo ed esclusione.
Pensare ai danni che si possono fare a giovani che hanno bisogno di socializzare e fare sport perché fa bene alla salute, prima di rilasciare dichiarazioni sarebbe d’obbligo. Ma anche in Italia sono state rilasciate dichiarazioni transfobiche, per esempio da Flavia Pennetta che nel discorso trans e sport funge un po’ da Navratilova nostrana. Quello che colpisce maggiormente è che nel tennis la forza è nulla senza la precisione e l’allenamento.
Di positivo in Italia si riscontra sia l’inclusione della UISP (per ora solo di persone transessuali con un certificato di disforia di genere) che il regolamento dell’UCI entrato in vigore a marzo, che della partecipazione della pallavolista brasiliana Tiffany Abreu nel Golem di Palmi.
Se siete al corrente di altri esempi positivi scriveteli nei commenti.
Per concludere, per equità per me si intende la possibilità di partecipare senza venire esclus* e anche quella di vincere senza dover sottostare a scrutinio.
Sebbene sia giusto stare attenti alle eventuali forme di doping, essere trans non è una forma di doping e ci sono innumerevoli articoli che spiegano come la terapia ormonale sostitutiva agisce ad annullare gli effetti del testosterone per le donne trans.